“Non si può insultare la fede degli altri” afferma l'ottimo Bergoglio: vediamo un po' di espandere i concetti impliciti in quest'affermazione di indubbio buon senso.
L'oggetto del contendere innanzitutto: la fede. Di cosa stiamo parlando? Dell'insieme dei dogmi, dei precetti, delle credenze e dei miti di una religione? Dei suoi principi morali?
E' una definizione riduttiva. Per quale motivo la fede dovrebbe essere inviolabile oggetto di tutela solo se legata ad una religione “ufficiale”? Altrettanta dignità ed inviolabilità andrebbe riconosciuta a qualsiasi forma di spiritualità, sia essa un fenomeno individuale o di massa, semplicemente in quanto manifestazione di vita e libertà interiore della persona di fronte all'esistenza, alle sue inquietudini ed ai suoi interrogativi. Cristiani, buddisti, atei, musulmani, animisti, umanisti... tutti, tutti, hanno una spiritualità nella misura in cui cercano un senso – o cercano di dare un senso – all'esistenza. E questo sì che deve essere inviolabile.
Insultare. La satira di Charlie Hebdo è feroce, viscerale, eccessiva. In una parola, è satira.
Confesso di aver appreso dell'esistenza del giornale assieme alla notizia della strage. Non ne sono dunque un conoscitore, ed alcune delle vignette che ho avuto modo di vedere mi hanno disturbato, il che è esattamente ciò che la satira si propone di fare (disturbare, intendo, non disturbare me). Ma per essere tale, la satira deve insultare: l'insulto creativo ne è il codice, è l'essenza del suo linguaggio; altrettanto importante però è il destinatario dell'insulto: il potere.
Senza insulto al potere non v'è satira, ed il potere non è esclusivamente quello ufficiale, politico: ogni atto volto a limitare la libertà degli individui, ogni prevaricazione, ogni violenza di qualsiasi tipo, fisica, morale, economica, intellettuale, estetica, spirituale o altro che sia è l'esercizio di un potere; e quando per esso si cerca legittimazione nella fede, ecco che la satira feroce diventa non solo giusta, ma necessaria.
Nel mio piccolo mi sento insultato innumerevoli volte da chi, in nome della religione, nega la possibilità dell'esistenza di un'etica laica e mette in dubbio che io, in quanto ateo, possa essere dotato di un vero senso morale. Viceversa, perché una persona religiosa dovrebbe sentirsi offesa da una vignetta che dileggi non già la religione in sé (non ne ho trovata alcuna di questo genere tra quelle di Charlie Hebdo), ma il suo uso improprio e strumentale? Il vero credente, di qualsiasi fede, dovrebbe sì inorridire, ma di fronte a chi muove guerra, uccide, lapida, mutila, fustiga ed opprime nel nome dell'immenso amore del proprio dio!
Credo inoltre che, se un dio esiste (non ho la presunzione di avere certezze in merito), ci debba stracciare alla grande in quanto a sense of humor (e questo gli Ebrei sembrano averlo capito meglio di chiunque altro, a giudicare dalle meravigliose storielle yiddish!).
La scenetta del pugno all'offensore della mamma, immaginata da Bergoglio, francamente non mi è piaciuta. Agli insulti, io risponderei con un “tu la mi'mamma la lasci stare!”, perché è stata proprio lei, la mia mamma, ad insegnarmi che alle parole, anche alle più sgarbate, non si risponde mai con i pugni.
L'oggetto del contendere innanzitutto: la fede. Di cosa stiamo parlando? Dell'insieme dei dogmi, dei precetti, delle credenze e dei miti di una religione? Dei suoi principi morali?
E' una definizione riduttiva. Per quale motivo la fede dovrebbe essere inviolabile oggetto di tutela solo se legata ad una religione “ufficiale”? Altrettanta dignità ed inviolabilità andrebbe riconosciuta a qualsiasi forma di spiritualità, sia essa un fenomeno individuale o di massa, semplicemente in quanto manifestazione di vita e libertà interiore della persona di fronte all'esistenza, alle sue inquietudini ed ai suoi interrogativi. Cristiani, buddisti, atei, musulmani, animisti, umanisti... tutti, tutti, hanno una spiritualità nella misura in cui cercano un senso – o cercano di dare un senso – all'esistenza. E questo sì che deve essere inviolabile.
Insultare. La satira di Charlie Hebdo è feroce, viscerale, eccessiva. In una parola, è satira.
Confesso di aver appreso dell'esistenza del giornale assieme alla notizia della strage. Non ne sono dunque un conoscitore, ed alcune delle vignette che ho avuto modo di vedere mi hanno disturbato, il che è esattamente ciò che la satira si propone di fare (disturbare, intendo, non disturbare me). Ma per essere tale, la satira deve insultare: l'insulto creativo ne è il codice, è l'essenza del suo linguaggio; altrettanto importante però è il destinatario dell'insulto: il potere.
Senza insulto al potere non v'è satira, ed il potere non è esclusivamente quello ufficiale, politico: ogni atto volto a limitare la libertà degli individui, ogni prevaricazione, ogni violenza di qualsiasi tipo, fisica, morale, economica, intellettuale, estetica, spirituale o altro che sia è l'esercizio di un potere; e quando per esso si cerca legittimazione nella fede, ecco che la satira feroce diventa non solo giusta, ma necessaria.
Nel mio piccolo mi sento insultato innumerevoli volte da chi, in nome della religione, nega la possibilità dell'esistenza di un'etica laica e mette in dubbio che io, in quanto ateo, possa essere dotato di un vero senso morale. Viceversa, perché una persona religiosa dovrebbe sentirsi offesa da una vignetta che dileggi non già la religione in sé (non ne ho trovata alcuna di questo genere tra quelle di Charlie Hebdo), ma il suo uso improprio e strumentale? Il vero credente, di qualsiasi fede, dovrebbe sì inorridire, ma di fronte a chi muove guerra, uccide, lapida, mutila, fustiga ed opprime nel nome dell'immenso amore del proprio dio!
Credo inoltre che, se un dio esiste (non ho la presunzione di avere certezze in merito), ci debba stracciare alla grande in quanto a sense of humor (e questo gli Ebrei sembrano averlo capito meglio di chiunque altro, a giudicare dalle meravigliose storielle yiddish!).
La scenetta del pugno all'offensore della mamma, immaginata da Bergoglio, francamente non mi è piaciuta. Agli insulti, io risponderei con un “tu la mi'mamma la lasci stare!”, perché è stata proprio lei, la mia mamma, ad insegnarmi che alle parole, anche alle più sgarbate, non si risponde mai con i pugni.