Qualche mia considerazione a proposito dell'articolo di Eugenio Scalfari, dal titolo :
"Atei militanti ecco perché sbagliate"
(L'Espresso, 23/07/2017)
Ma se già è arduo inquadrare antropologicamente il Cattolico (o l' Evangelico, il Musulmano, l'Ebreo, lo Shintoista ecc.), che pure sono tali in quanto più o meno conformati ad un sistema di regole, precetti, parametri, obblighi e divieti previsti dalle rispettive religioni, come si può ragionevolmente pensare ad una tassonomia dei "non credenti"?
Io sono ateo poiché non riconosco obblighi e divieti derivanti da entità trascendenti, ma solo dalla logica, dal mio senso morale e dal contratto sociale. Non credo però nel Nulla, come sostiene Scalfari, per un semplice e logico motivo che proviene dal pensiero di quel Parmenide che lui stesso cita: "Il Non-Essere non è e non può essere". Come potrei ragionevolmente credere in qualcosa che so non esistere?
Il mio essere ateo non dipende da ciò in cui credo, ma da ciò in cui NON credo: non credo in un essere superiore onnipotente, infinitamente buono, dall'esistenza indimostrabile ma, soprattutto, inconfutabile. Non ci credo proprio perche' la scienza mi ha sempre insegnato a diffidare di una tesi di cui, per sua natura, sia impossibile dimostrare la falsità. E se ad ogni falla logica della religione l'unica risposta possibile implica l'impossibilità umana di penetrare i misteri del Divino, beh, personalmente non intendo perdere tempo e sprecare argomentazioni per cercare di de-evangelizzare chichessia. L'ateismo, a differenza delle religioni, non ha bisogno del proselitismo.
Rissoso? Non è nella mia natura, ma certo divento piuttosto incazzereccio nel momento in cui mi si insulta. Non parlo dell'accostamento ai cugini primati, ai quali anzi dovremmo imparare a guardare con rispetto e umiltà (e penso in particolare ai meravigliosi Bonobo, ai Gorilla ed agli Oranghi); è la messa in discussione del senso morale degli atei in quanto tali che mi fa infuriare, la pretesa superiorità dei credenti, la presunzione che non possa esservi il Bene in assenza del Divino.
"Atei militanti ecco perché sbagliate"
(L'Espresso, 23/07/2017)
Ma se già è arduo inquadrare antropologicamente il Cattolico (o l' Evangelico, il Musulmano, l'Ebreo, lo Shintoista ecc.), che pure sono tali in quanto più o meno conformati ad un sistema di regole, precetti, parametri, obblighi e divieti previsti dalle rispettive religioni, come si può ragionevolmente pensare ad una tassonomia dei "non credenti"?
Io sono ateo poiché non riconosco obblighi e divieti derivanti da entità trascendenti, ma solo dalla logica, dal mio senso morale e dal contratto sociale. Non credo però nel Nulla, come sostiene Scalfari, per un semplice e logico motivo che proviene dal pensiero di quel Parmenide che lui stesso cita: "Il Non-Essere non è e non può essere". Come potrei ragionevolmente credere in qualcosa che so non esistere?
Il mio essere ateo non dipende da ciò in cui credo, ma da ciò in cui NON credo: non credo in un essere superiore onnipotente, infinitamente buono, dall'esistenza indimostrabile ma, soprattutto, inconfutabile. Non ci credo proprio perche' la scienza mi ha sempre insegnato a diffidare di una tesi di cui, per sua natura, sia impossibile dimostrare la falsità. E se ad ogni falla logica della religione l'unica risposta possibile implica l'impossibilità umana di penetrare i misteri del Divino, beh, personalmente non intendo perdere tempo e sprecare argomentazioni per cercare di de-evangelizzare chichessia. L'ateismo, a differenza delle religioni, non ha bisogno del proselitismo.
Rissoso? Non è nella mia natura, ma certo divento piuttosto incazzereccio nel momento in cui mi si insulta. Non parlo dell'accostamento ai cugini primati, ai quali anzi dovremmo imparare a guardare con rispetto e umiltà (e penso in particolare ai meravigliosi Bonobo, ai Gorilla ed agli Oranghi); è la messa in discussione del senso morale degli atei in quanto tali che mi fa infuriare, la pretesa superiorità dei credenti, la presunzione che non possa esservi il Bene in assenza del Divino.